I nomi che disturbano: le discriminazioni nelle elezioni svizzere
Il sistema elettorale svizzero permette ai votanti di stralciare sulla scheda di partito i nomi di candidate e candidati indesiderati. Questo comportamento però può tornare a svantaggio delle persone con un passato migratorio che non hanno cognomi “tipicamente svizzeri”, come dimostrano due recenti studi.
Una delle caratteristiche individuali che possono essere alla base di comportamenti discriminatori è la cosiddetta “origine”. In particolare, le persone di origine straniera sono in minoranza e rischiano di essere vittime di discriminazione.
Vari indicatori ci permettono di presumere che una persona sia di origine straniera la fisionomia, il modo di vestirsi, l’accento. Ma se questa persona non la vediamo né possiamo sentirla, sono il suo nome e cognome a svelare in molti casi la sua origine (Fibbi et al. 2016).
Come misurare la discriminazione elettorale?
In due studi recenti, Lea Portmann (Università di Lucerna) e il sottoscritto hanno analizzato la cosiddetta “discriminazione elettorale”. Di cosa si tratta? È un fenomeno che colpisce le persone che si candidano a una funzione politica elettiva e che sono svantaggiate nel processo elettorale a causa della loro appartenenza a un gruppo minoritario, nel nostro caso, della loro origine straniera.
Uno stadio indubbiamente importante del processo elettorale è l’elezione vera e propria, ossia il momento in cui spetta alle elettrici e agli elettori indicare le candidate e i candidati preferiti. Proprio questo stadio è al centro della nostra ricerca. Ci interessava infatti analizzare il fenomeno di “discriminazione elettorale”, ossia quando le elettrici e gli elettori discriminano le persone appartenenti a una minoranza, non votando per loro oppure addirittura stralciando i loro nomi dalla propria lista. In particolare, nel contesto svizzero, è interessante porsi la domanda se le candidate e i candidati con un passato migratorio, che traspare da un cognome non “tipicamente svizzero”, vengono discriminati nelle elezioni.
Il vantaggio delle candidate e dei candidati con cognomi “tipicamente” svizzeri
Basarsi sui cognomi (e in parte anche sui nomi) per studiare le discriminazioni non è un metodo perfetto ma è molto usato negli studi simili fatti all’estero. Non è perfetto perché ovviamente il cognome di una persona è soltanto uno tra i possibili indizi del passato migratorio di una persona. Tuttavia pensiamo che il metodo sia valido nel caso svizzero. Per essere precisi dovremmo però dire che la nostra ricerca non concerne le discriminazioni contro le candidate e i candidati con un passato migratorio ma contro i cognomi percepiti come “stranieri”. Per sapere se un cognome è “straniero” o no abbiamo utilizzato una data banca accessibile gratuitamente online dove sono registrati i cognomi di tutti i cittadini svizzeri fino al 1962.
Va anche evidenziato che il sistema elettorale svizzero si presta particolarmente bene per condurre questo tipo di analisi, poiché consente alle elettrici e agli elettori non solo di votare per le singole candidate e candidati ma anche di stralciare i loro nomi dalla lista elettorale: in tal caso si parla di “voti preferenziali negativi”. È possibile tuttavia stralciare solo i nomi delle persone che figurano sulla lista del partito scelto dall’elettrice o dall’elettore. Per esempio, se voto per la lista X posso stralciare solo i nomi figuranti su quella lista e non quelli sulle liste Y, W, Z, ecc. Per contro, i voti preferenziali positivi possono essere attribuiti sia alle persone della propria lista sia a quelle di altre liste (“panachage”).
I risultati del nostro studio dimostrano che effettivamente, nelle elezioni comunali 2014 nel Cantone di Zurigo, le candidati e i candidati con cognomi “stranieri” erano svantaggiati rispetto alle persone con cognomi “svizzeri” (Portmann e Stojanović 2019). Lo abbiamo potuto dimostrare calcolando i voti preferenziali negativi che ogni candidata/o ha ricevuto. Questo risultato è statisticamente robusto perché tiene conto di vari altri fattori, le cosiddette variabili di controllo, che di solito hanno un impatto sul comportamento elettorale: la posizione sulla lista, l’età, il sesso, il grado di formazione e la professione. L’effetto è maggiore nelle liste dei partiti della destra e del centro-destra.
Non tutti i cognomi stranieri sono uguali
Abbiamo evidenziato anche due altri aspetti della discriminazione elettorale. Primo: non abbiamo notato una differenza a seconda delle origini dei cognomi stranieri. In altre parole, i cognomi non-svizzeri ma “occidentali” (per esempio tedeschi, italiani, portoghesi, inglesi) non sono meno discriminati rispetto ai cognomi ex jugoslavi, turchi o arabi. In questo caso i risultati sono però meno robusti perché il numero delle candidate e dei candidati appartenenti a ognuna di queste categorie è troppo piccolo per avanzare conclusioni generali. Uno studio più recente e più ampio però (non ancora pubblicato), nel quale abbiamo analizzato quasi 700’000 schede elettorali modificate, relative alle elezioni 2015 al Consiglio nazionale, dimostra che cognomi balcanici, turchi o arabi sono più discriminati rispetto ai cognomi non-svizzeri ma occidentali, i quali, a loro volta, ricevono meno voti preferenziali positivi rispetto ai cognomi “tipicamente svizzeri”.
Secondo: non abbiamo trovato elementi che comprovano l’esistenza della discriminazione elettorale positiva. Con questo non vogliamo dire che non esista ma soltanto che non l’abbiamo trovata nelle elezioni 2014 nel Cantone Zurigo e nelle elezioni 2015 al Consiglio nazionale. Per esempio, ci sono indizi che Ricardo Lumengo, il primo parlamentare federale nero dopo la signora Tilo Frey (1971-1975), è stato eletto nel 2007 anche grazie alla discriminazione elettorale positiva. Lumengo occupava infatti la posizione 22 (su 26) sulla lista del suo partito ma alla fine è risultato il terzo miglior eletto di quella lista. È quindi molto verosimile che abbia ricevuto una marea di voti preferenziali positivi, in un contesto elettorale particolare, caratterizzato dai famosi manifesti contro le “pecore nere”. La discriminazione positiva può però essere anche l’espressione del “voto etnico”: quando gli elettori di un gruppo minoritario appoggiano solo o soprattutto le persone di quel gruppo (ma ciò è assai inverosimile nel caso specifico di Ricardo Lumengo).
Proprio questi esempi dimostrano anche il principale limite delle nostre ricerche. Se con l’approccio scelto è possibile dimostrare l’esistenza della discriminazione elettorale osservando il comportamento delle elettrici e degli elettori, un metodo che presenta notevoli vantaggi rispetto ai sondaggi o agli esperimenti, non possiamo conoscere le motivazioni né l’identità degli autori della discriminazione. Rimane quindi ancora tanto lavoro da fare.
Nenad Stojanović è professore FNS presso il Dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’Università di Ginevra. Attualmente lavora al progetto “Una teoria non-populista della democrazia diretta” che include una sperimentazione di democrazia partecipativa basata sul sorteggio e la deliberazione. È affiliato al progetto nccr – on the move The Mobility of Migration Policies: Pathways and Consequences of the Diffusion of Migration Policies.
Riferimenti bibliografici:
– Fibbi, Rosita; Lerch, Mathias; Wanner, Philippe (2006). Unemployment and discrimination against youth of immigrant origin in Switzerland: When the name makes the difference. Journal of International Migration and Integration 7(3), 351–366.
– Portmann, Lea; Stojanović, Nenad (2019). Electoral discrimination against immigrant-origin candidates. Political Behavior 41(1), 105–134.